Crack in the Deity (2021) Painting by Paolo Cantù Gentili

L’eco primordiale della forma Paolo Cantù Gentili ci trascina in un universo simbolico dove la geometria diventa portale e il colore vibrazione mistica. "Fenditure nelle Divinità" si offre come una partitura visiva di equilibri tesi e di risonanze interiori, una superficie dipinta che è insieme soglia e rivelazione. Il nero, che domina la composizione, non è un vuoto né un'assenza, ma un grembo cosmico da cui emergono forme archetipiche: un quadrato bianco, quasi sacrale, ospita un nucleo scuro, centro denso di gravità e mistero. Intorno, orbite cromatiche si dispongono in una tensione misurata—il giallo infuocato, il rosso tellurico, il blu attraversato da venature di luce. Ogni elemento sembra sussurrare un codice, un’antica grammatica dello spirito. La materia pittorica, pur nella sua apparente semplicità, cela una stratificazione sottile: il colore non si limita a giacere sulla tela, ma pulsa, si increspa, si fa pelle che respira e trattiene tracce del tempo. Cantù Gentili non dipinge soltanto immagini, ma sedimenta memorie e visioni. L’opera si situa in un punto di convergenza tra astrazione lirica e spiritualità plastica, ricordando Kandinsky nel suo dialogo con la musica interiore della forma e Malevič nella ricerca del trascendente attraverso la purezza del segno. Ma Cantù Gentili non si rifugia nella citazione: la sua è una lingua autonoma, un lessico che trasforma l’equilibrio geometrico in epifania. In "Fenditure nelle Divinità", il visibile si sfalda in enigma, la materia diventa rivelazione, e l’occhio è chiamato non solo a osservare, ma a interrogare. E a perdersi.

The primordial echo of form Paolo Cantù Gentili drags us into a symbolic universe where geometry becomes a portal and color a mystical vibration. "Slits in the Divinities" offers itself as a visual score of tense balances and interior resonances, a painted surface that is both threshold and revelation. The black that dominates the composition is neither a void nor an absence, but a cosmic womb from which archetypal forms emerge: a white, almost sacred square hosts a dark core, a dense center of gravity and mystery. Around, chromatic orbits are arranged in a measured tension—fiery yellow, telluric red, blue crossed by veins of light. Each element seems to whisper a code, an ancient grammar of the spirit. The pictorial material, despite its apparent simplicity, conceals a subtle stratification: the color does not simply lie on the canvas, but pulsates, ripples, becomes skin that breathes and retains traces of time. Cantù Gentili does not only paint images, but sediments memories and visions. The work is located at a point of convergence between lyrical abstraction and plastic spirituality, recalling Kandinsky in his dialogue with the interior music of form and Malevič in the search for the transcendent through the purity of the sign. But Cantù Gentili does not take refuge in quotation: his is an autonomous language, a lexicon that transforms geometric balance into epiphany. In "Fenditure nelle Divinità", the visible crumbles into an enigma, matter becomes revelation, and the eye is called not only to observe, but to question. And to get lost.