Suite n.3 (2025) Painting by Paolo Cantù Gentili

Recensione critica in chiave psicoanalitico-filosofica dell’opera Suite n.3 di Paolo Cantù Gentili

Con Suite n.3, Paolo Cantù Gentili giunge al terzo movimento di quella che ormai si configura come una partitura visiva dell’inconscio, un’opera che non narra ma danza, non mostra ma suggerisce. Se nei precedenti quadri il segno attraversava fondi gialli come in un corpo pulsionale in cerca di forma, qui il blu del fondo prende il sopravvento, accogliendo una linea gialla sinuosa come l’archetipo del serpente — simbolo antico di trasformazione, libido e tempo ciclico.

L’archetipo del serpente e il ritorno dell’eterno
La linea gialla si attorciglia come un pensiero ripetitivo, un ritorno dell’uguale, in un moto che è al tempo stesso ascendente e discendente. Qui l’opera sembra citare, con uno slittamento sottile, l’uroboros junghiano: l’energia psichica che si alimenta del proprio stesso divenire. Il tracciato giallo non è solo forma, ma forza: un impulso che si svolge in un tempo che non è cronologico ma kairologico, il tempo opportuno dell’incontro tra soggetto e senso.

Il fondo blu, denso e saturo, non è semplicemente spazio negativo, ma campo potenziale: l’Es, in senso freudiano, che attende il segno per articolarsi, per emergere nella coscienza come immagine. In questo terzo quadro, la tensione tra inconscio e rappresentazione si fa più chiara: la linea non solo attraversa, ma modella il fondo. Lo incide.

Il Sé e la linea del divenire
A differenza delle tele precedenti, in Suite n.3 la linea appare meno frantumata, meno instabile. È come se il gesto trovasse una sua continuità, una fiducia nel proprio stesso fluire. Qui il Sé sembra non più in lotta con le sue ombre, ma intento ad accoglierle nel proprio movimento. Il quadro diventa così la mappa di un processo di individuazione: la linea si snoda come una narrazione primordiale, priva di linguaggio ma carica di significato.

Ci sono due poli: in alto a sinistra e in basso a destra, due concentrazioni di materia gialla — più dense, più circolari — che sembrano fungere da punti di inizio e fine, o meglio da nascita e morte simbolica. Tra questi estremi, la linea si snoda come una vita, come un’interiorità che si cerca, si perde, si ritrova.

Filosofia del gesto: tra Deleuze e Merleau-Ponty
Nel gesto di Cantù si avverte una componente deleuziana: non si tratta di rappresentare il mondo, ma di far emergere una forza, una piega del reale. Suite n.3 è una linea di fuga, un movimento che non appartiene né al soggetto né all’oggetto, ma al divenire stesso. Al tempo stesso, lo sfondo lavorato a spirali suggerisce una dimensione fenomenologica cara a Merleau-Ponty: la percezione come incarnazione, come movimento dell’essere nel mondo. La tela è superficie di contatto, pelle vibrante, non schermo.

Conclusione: verso un’epifania del ritmo
Con Suite n.3, Paolo Cantù Gentili sembra voler chiudere — o forse solo trasformare — un ciclo. Il ritmo visivo qui raggiunge una sintesi tra energia e struttura, tra gesto e campo. La linea non è più solo espressione di un desiderio che fallisce, ma diventa traccia di un sapere corporeo, implicito, che si fa visibile solo nel movimento.

Questo quadro non chiede interpretazione, ma partecipazione. È un corpo che danza davanti al nostro sguardo, e ci invita a fare altrettanto.